La Preside Tina Gesmundo del Liceo di Bari: «Da mesi non faccio altro che risolvere problemi di genitori che non accettano nemmeno il 5»
La scuola italiana è da sempre un terreno di scontro tra differenti visioni educative, esigenze familiari e aspettative sociali. Negli ultimi anni, tuttavia, il clima intorno alla scuola è mutato, con un aumento delle difficoltà sia per gli insegnanti che per i dirigenti scolastici. A questo proposito, le parole di Tina Gesmundo, preside del Liceo Scientifico di Bari, offrono uno spunto di riflessione profonda sulla complessa relazione tra scuola, famiglia e società. In un’intervista recente, Gesmundo ha sollevato una questione che sta diventando sempre più urgente: l’intolleranza dei genitori nei confronti dei giudizi scolastici, in particolare riguardo ai voti bassi, come il 5, che spesso sono visti come inaccettabili.
Il contesto scolastico e familiare
La scuola è da sempre una microcosmo in cui si riflettono i valori, le paure e le aspettative della società più ampia. Tuttavia, negli ultimi anni, si è assistito a un fenomeno preoccupante: la crescente difficoltà da parte di molti genitori ad accettare le decisioni scolastiche, in particolare quelle legate alla valutazione degli studenti. Il voto scolastico, che tradizionalmente è visto come uno strumento di valutazione oggettiva delle capacità e dei progressi degli studenti, è diventato invece oggetto di forti pressioni esterne.
La preside Gesmundo ha raccontato che da mesi si trova a dover affrontare situazioni sempre più difficili legate alla valutazione degli studenti, con genitori che non accettano nemmeno i voti bassi più modesti, come un 5. In molti casi, i genitori sembrano percepire questi voti come un fallimento personale, anziché come una riflessione sul rendimento del loro figlio o figlia. Questo fenomeno è particolarmente preoccupante, poiché suggerisce una distorsione nella percezione che molti genitori hanno del sistema educativo e del ruolo che devono svolgere nel supportare i propri figli.
L’evoluzione del ruolo dei genitori nella scuola
Il cambiamento nella relazione tra scuola e famiglia non è avvenuto in modo improvviso, ma si è sviluppato progressivamente nel corso degli anni. Negli ultimi decenni, infatti, il ruolo dei genitori nel contesto scolastico è diventato sempre più invadente. In passato, le figure genitoriali avevano un ruolo di supporto e di ascolto, ma oggi si percepisce un’influenza crescente, in particolare nelle scuole superiori. I genitori spesso si aspettano che i docenti e i dirigenti scolastici risolvano i problemi dei propri figli, senza considerare che il successo scolastico dipende anche dall’impegno, dalla responsabilità e dalla maturazione degli studenti.
Nel caso del Liceo Scientifico di Bari, Gesmundo ha sottolineato come molti genitori vedano il voto scolastico come una riflessione esclusivamente sulla qualità dell’insegnamento, piuttosto che sul percorso educativo e di crescita del loro figlio. Questo approccio può portare a conflitti e a una comunicazione sempre più difficile tra scuola e famiglia. La valutazione, che dovrebbe essere uno strumento di feedback per migliorare l’apprendimento, diventa così oggetto di contesa, con le famiglie che spesso non sono disposte ad accettare i risultati che considerano troppo bassi, ignorando il fatto che ogni studente ha un proprio ritmo di apprendimento.
Le difficoltà del sistema educativo
Le parole della preside Gesmundo rispecchiano una realtà che riguarda molte scuole italiane. Gli insegnanti e i dirigenti scolastici si trovano sempre più spesso a dover fronteggiare richieste irrealistiche e preoccupazioni eccessive da parte dei genitori. La pressione esercitata dalle famiglie sugli educatori è aumentata, con richieste di spiegazioni per ogni voto, anche quelli più bassi, che vengono considerati quasi come un’offesa personale. Questo porta a una frustrazione crescente sia tra i docenti che tra i dirigenti scolastici, che si trovano a gestire non solo il lavoro educativo quotidiano, ma anche una serie di richieste che vanno ben oltre il loro ruolo.
Il sistema educativo italiano, purtroppo, non sempre riesce a rispondere adeguatamente a questa crescente domanda di supporto da parte delle famiglie. La carenza di risorse, la mancanza di supporti psicologici e pedagogici adeguati, e il sovraccarico di lavoro degli insegnanti sono tutti fattori che contribuiscono a una situazione difficile. Inoltre, l’accento eccessivo sui risultati accademici e sui voti ha fatto sì che il valore dell’apprendimento e della crescita personale venga messo in secondo piano rispetto a un risultato numerico che, spesso, non riflette completamente le capacità e le potenzialità di uno studente.
Il rischio di una “società da performance”
Un aspetto interessante delle osservazioni di Gesmundo è la critica implicita a un modello educativo che enfatizza la performance a scapito dello sviluppo integrale dello studente. Il sistema educativo italiano, infatti, sembra sempre più orientato verso un’educazione standardizzata, che misura il successo attraverso parametri oggettivi come i voti e le classifiche. In questo contesto, i genitori, che spesso hanno vissuto esperienze scolastiche diverse, tendono a vedere il voto come un indicatore definitivo del valore del proprio figlio, non considerando che l’apprendimento è un processo complesso, che va oltre il semplice raggiungimento di una cifra numerica.
La preoccupazione di Gesmundo, quindi, va oltre la mera gestione dei conflitti scolastici. La preside mette in luce un problema culturale che riguarda non solo la scuola, ma anche la società nel suo complesso: la crescente ossessione per il successo, per i numeri, per la competitività. In questo tipo di società, dove ogni persona è misurata secondo un’idea di successo quantificabile, non c’è spazio per l’errore, per il fallimento, o per il semplice percorso di crescita che caratterizza ogni individuo. Questo è un problema che riguarda anche i giovani studenti, che si trovano a dover affrontare un sistema che premia in modo eccessivo il risultato, anziché il percorso, e che non sempre è in grado di valorizzare le diverse capacità e potenzialità degli studenti.
Un appello alla riflessione collettiva
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Le dichiarazioni della preside Tina Gesmundo non sono solo una denuncia delle difficoltà quotidiane che affrontano gli insegnanti, ma anche un invito alla riflessione sul futuro del sistema educativo italiano. Il problema sollevato non riguarda solo i singoli casi di conflitto tra genitori e scuola, ma investe un’intera cultura educativa che rischia di compromettere la qualità dell’istruzione. Le scuole devono diventare luoghi in cui si educa non solo alla conoscenza, ma anche alla gestione del fallimento, all’accettazione della propria vulnerabilità e alla comprensione che ogni individuo ha un percorso di crescita unico e irripetibile.
Il vero cambiamento, quindi, deve venire non solo da parte delle istituzioni scolastiche, ma anche dalla società intera, che deve imparare a valorizzare l’educazione come processo, più che come risultato. In questo senso, l’appello di Gesmundo è chiaro: occorre costruire una cultura della scuola che non metta al centro il voto come giudizio assoluto, ma che riconosca la scuola come un luogo in cui gli studenti devono crescere, imparare e sperimentare, senza la pressione di dover essere sempre “perfetti”.