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Bari, la preside del liceo e le accuse ai genitori: «Vedo cose che voi umani non potreste nemmeno immaginare»

In un’epoca in cui le scuole sono costantemente sotto la lente d’ingrandimento della società, la figura del dirigente scolastico è diventata centrale nel tentativo di mantenere un equilibrio tra le necessità degli studenti, le aspettative delle famiglie e le politiche educative. Le parole della preside Tina Gesmundo, a capo di un liceo a Bari, sono una testimonianza di quanto questa figura sia ormai al centro di una vera e propria “battaglia culturale” all’interno delle scuole italiane. Le sue dichiarazioni recenti, in cui ha parlato di un fenomeno che ha osservato nel suo istituto – e che definisce quasi fantascientifico – descrivono un contesto che sembra essere ormai insostenibile: la relazione sempre più conflittuale tra la scuola e alcune famiglie.

Le accuse mosse da Gesmundo non sono da interpretare come una mera lamentela o un grido di disperazione, ma piuttosto come un allarme sul cambiamento radicale che sta investendo il mondo dell’educazione. «Vedo cose che voi umani non potreste nemmeno immaginare», ha dichiarato la preside, facendo un riferimento che sembra tratto più da un film di fantascienza che dalla realtà di una scuola. Eppure, come molti altri presidi e insegnanti, Gesmundo sta assistendo a dinamiche scolastiche che sfidano la logica e la comprensione comune.

Bari Il contesto: un sistema scolastico sotto pressione

Le scuole italiane, come quelle di molte altre nazioni, si trovano ad affrontare sfide enormi. La pandemia di COVID-19 ha acutizzato molte difficoltà, spingendo la didattica online e mettendo in evidenza le disuguaglianze nell’accesso alla tecnologia e nel supporto familiare. Ma anche dopo la fine della fase più critica della pandemia, la situazione nelle scuole non è tornata alla normalità. Le pressioni sulle scuole, in particolare quelle superiori, sono aumentate, così come il coinvolgimento dei genitori nelle dinamiche educative.

Un dato che emerge con forza è che i genitori oggi tendono a essere sempre più attivi, e talvolta invadenti, nella gestione del percorso scolastico dei propri figli. Non si tratta solo di un impegno positivo e costruttivo, ma anche di un’intensificata “pressione” che si traduce in richieste di chiarimenti, confronti e, nei casi più estremi, minacce o azioni legali contro docenti e dirigenti scolastici. La scuola, un tempo luogo di autorità pedagogica e di valutazione imparziale, è diventata il terreno di scontro tra aspettative familiari e realizzazioni individuali.

Bari La crisi dei voti e la “vergogna” dei 5

Uno degli aspetti che più preoccupa la preside Gesmundo è il crescente rifiuto da parte di molti genitori di accettare i voti che considerano insufficienti. La preside racconta di una continua pressione per giustificare e spiegare le valutazioni, in particolare quando si tratta di voti bassi. Una delle frasi che ricorrono più spesso nel suo racconto è proprio quella di genitori che non accettano nemmeno un 5. In passato, la scuola avrebbe rappresentato un ambiente dove i voti, pur essendo un giudizio sui risultati scolastici, avevano un significato educativo: indicavano a che punto si trovava lo studente nel suo percorso di apprendimento e quali aree necessitavano di miglioramento.

Oggi, invece, il voto è diventato il simbolo di un fallimento che non viene tollerato. La percezione di alcuni genitori è che un voto basso, come un 5, possa compromettere il futuro dei loro figli, compromettendo il loro accesso a scuole migliori, università o opportunità lavorative. La preside ha osservato che spesso dietro a queste reazioni c’è un eccessivo timore del giudizio sociale e una cultura che ha sostituito il valore del percorso educativo con quello della performance. Non è raro che, di fronte a una valutazione negativa, i genitori richiedano un incontro urgente con la preside, cercando di convincere gli insegnanti a modificare il voto, a riconsiderare l’intero processo di valutazione o, talvolta, a “perdonare” l’insufficienza.

Bari La “colpa” della scuola

La preside Gesmundo ha sollevato anche un’altra questione cruciale: quella della responsabilità che le famiglie attribuiscono unicamente alla scuola. Nella visione di alcuni genitori, infatti, la scuola diventa il luogo dove ogni errore e ogni insuccesso devono essere attribuiti agli insegnanti e alla struttura scolastica. Quando un ragazzo non ottiene i risultati sperati, il fallimento non è visto come una sua difficoltà o una sua mancanza di impegno, ma come una colpa del sistema scolastico, che non ha saputo valorizzare adeguatamente il suo talento o le sue capacità.

Questo atteggiamento si è tradotto in una serie di difficoltà quotidiane per i dirigenti scolastici, che si trovano a gestire una crescente pressione non solo da parte dei genitori, ma anche da parte delle istituzioni, che non sempre comprendono la complessità del lavoro quotidiano in aula. In molti casi, i docenti sono visti come responsabili esclusivi dei risultati scolastici, e le difficoltà legate a problemi familiari, emotivi o di altro tipo vengono ignorate o minimizzate.

Bari La preside Gesmundo: una voce di denuncia

Le parole della preside Gesmundo sono molto più che una critica. Esse rappresentano un grido d’allarme per la scuola italiana. La sua frustrazione si fonda su un’inadeguata comunicazione tra scuola e famiglia, che crea un ambiente difficile per gli studenti, ma anche per chi lavora ogni giorno per garantire loro una formazione completa. La visione della scuola come un luogo in cui si deve “ottenere” a tutti i costi, dove il fallimento è inaccettabile e la meritocrazia viene sacrificata in favore di un’illusoria perfezione, rischia di pregiudicare la crescita dei ragazzi.

Inoltre, la preside mette in evidenza il problema più ampio di una società che ha sostituito i valori di comunità, di educazione e di crescita individuale con quelli della performance e del successo a ogni costo. La scuola, in questo contesto, perde il suo ruolo educativo per diventare un semplice strumento di ascesa sociale, dove ogni passo falso è visto come un errore irreparabile.

Bari Conclusioni: un appello alla responsabilità condivisa

La denuncia di Gesmundo non si limita a un’analisi delle difficoltà incontrate nella gestione della scuola, ma si rivolge anche a un sistema educativo e sociale che deve ripensare i propri valori. La scuola non deve essere un luogo dove i fallimenti vengono occultati, ma un ambiente di crescita in cui gli studenti possono imparare anche dai propri errori. Le famiglie, da parte loro, devono essere pronte a collaborare con gli insegnanti, senza delegare a loro ogni responsabilità e riconoscendo che l’educazione è un processo complesso e condiviso. La preside, con la sua testimonianza, invita dunque tutti a riflettere su una scuola che deve essere inclusiva, empatica e capace di comprendere le difficoltà degli studenti, senza essere schiacciata dalle pressioni esterne.

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