Fondazione Di Vittorio: “Tra 1991 e 2023 salari reali calati di 1000 euro. Negli ultimi quattro anni l’inflazione ne ha fatti perdere oltre 5mila”
Il mondo del lavoro italiano sta attraversando un periodo particolarmente critico, segnato da una persistente perdita di potere d’acquisto per i salari e da una crescente difficoltà per i lavoratori a mantenere il proprio tenore di vita. Un recente report della Fondazione Di Vittorio ha sollevato il velo su una realtà economica preoccupante: tra il 1991 e il 2023 i salari reali in Italia sono calati di circa 1000 euro, con una perdita decisamente più significativa negli ultimi quattro anni a causa dell’inflazione, che ha tolto oltre 5000 euro ai lavoratori.
La Fondazione Di Vittorio, il centro di ricerca e studi economici legato alla Cgil, ha da sempre monitorato l’andamento dei salari in Italia, cercando di analizzare le cause delle disuguaglianze economiche e le dinamiche che influenzano il potere d’acquisto dei lavoratori. Il rapporto presentato recentemente ha suscitato un acceso dibattito e messo in luce le difficoltà quotidiane di milioni di italiani, costretti a fare i conti con un’inflazione che ha ridotto drasticamente il valore reale delle loro retribuzioni.
Il calo dei salari reali dal 1991 al 2023
Secondo l’analisi della Fondazione Di Vittorio, dal 1991 a oggi il potere d’acquisto dei salari è diminuito in modo significativo. Sebbene l’inflazione sia stata un fenomeno presente in tutta la storia economica del Paese, il calo dei salari reali, cioè dei salari aggiustati per l’inflazione, ha subito un’accelerazione a partire dagli anni ’90.
Nel 1991, i salari medi in Italia permettevano una qualità della vita decisamente superiore rispetto a oggi. Tuttavia, negli anni successivi, una combinazione di fattori ha iniziato a ridurre il potere d’acquisto dei lavoratori. Le politiche di austerità, le riforme del lavoro e la stagnazione salariale hanno avuto un impatto significativo, causando un vero e proprio declino della retribuzione netta per moltissimi italiani.
In particolare, tra il 1991 e il 2023, la crescita dei salari nominali non è riuscita a tenere il passo con l’aumento dei prezzi. Questo significa che, sebbene i salari siano aumentati in termini assoluti, l’incremento non è stato sufficiente per mantenere inalterato il potere d’acquisto. Di fatto, i lavoratori italiani hanno visto i loro stipendi ridursi di circa 1000 euro all’anno, in termini reali, rispetto ai livelli del 1991.
La spirale inflazionistica e la perdita dei salari negli ultimi 4 anni
Il periodo più critico per i salari reali si è verificato negli ultimi quattro anni. L’inflazione ha subito una forte impennata, a partire dal 2020, con un picco che ha messo a dura prova il potere d’acquisto di milioni di italiani. Secondo i dati della Fondazione Di Vittorio, tra il 2019 e il 2023, i salari reali hanno visto una perdita di oltre 5000 euro in media, a causa dell’inflazione che ha eroso progressivamente la capacità di acquisto. Questo calo è stato il risultato di un aumento dei prezzi in settori cruciali per la vita quotidiana, come l’energia, i trasporti, e i beni di prima necessità, mentre i salari non sono riusciti a tenere il passo con questi aumenti.
L’inflazione ha toccato i livelli più alti degli ultimi decenni, con tassi che hanno superato il 10% nel 2022, e in alcune circostanze hanno raggiunto il 12% o più. Questi aumenti hanno avuto un impatto devastante sui salari reali. Molti italiani hanno visto i propri stipendi consumati da costi sempre più alti per alimentari, carburante e bollette, con il risultato che il loro reddito non era più sufficiente a coprire le spese quotidiane.
Le categorie più colpite sono state, come sempre, quelle più vulnerabili: i lavoratori a tempo determinato, i precari, e coloro che operano in settori a bassa retribuzione. Per queste persone, la situazione è diventata insostenibile, e l’inflazione ha aggravato la già difficile condizione economica, spingendo molte famiglie nella povertà relativa o assoluta.
Le cause alla base del calo dei salari
Il fenomeno del calo dei salari reali non è un evento isolato, ma è il risultato di una serie di fattori strutturali che hanno caratterizzato l’economia italiana negli ultimi decenni. Tra le principali cause individuate dalla Fondazione Di Vittorio ci sono:
- La stagnazione economica: Il rallentamento dell’economia italiana ha avuto un impatto diretto sulla capacità delle imprese di aumentare i salari. A fronte di una crescita economica anemica, molti datori di lavoro non sono stati in grado di incrementare le retribuzioni dei propri dipendenti.
- La globalizzazione: La globalizzazione e la delocalizzazione delle produzioni hanno ridotto il potere contrattuale dei lavoratori italiani, che si sono trovati a competere con mercati del lavoro a basso costo in altre parti del mondo.
- Le politiche di austerità: Le riforme fiscali e le politiche di austerità adottate da diversi governi italiani, spesso sotto la spinta dell’Unione Europea, hanno comportato un contenimento della spesa pubblica, tagliando le risorse destinate al welfare e riducendo le tutele per i lavoratori. Questo ha avuto un impatto negativo sulla crescita salariale e sul benessere dei cittadini.
- La precarizzazione del lavoro: L’introduzione di contratti a termine, la diffusione del lavoro autonomo e la crescita della gig economy hanno portato a una maggiore incertezza per i lavoratori, riducendo le opportunità di una stabilità salariale adeguata. La mancanza di una contrattazione collettiva forte e diffusa ha contribuito alla stagnazione salariale.
- L’inadeguatezza delle politiche salariali: La politica salariale in Italia è stata a lungo insufficiente, con aumenti salariali legati spesso a fattori che non riflettevano realmente il potere d’acquisto dei lavoratori. La bassa crescita dei salari è stata anche il risultato di politiche che non incentivavano un adeguato allineamento tra crescita produttiva e retribuzioni.
Le conseguenze sociali ed economiche
Il calo dei salari reali ha avuto ripercussioni non solo sul piano economico, ma anche sul piano sociale. Le disuguaglianze economiche in Italia sono aumentate, con una crescente distanza tra le classi sociali. I più poveri sono diventati sempre più vulnerabili, mentre i ceti medi hanno visto diminuire progressivamente la loro capacità di spesa.
L’erosione del potere d’acquisto ha ridotto il livello di benessere della maggior parte delle famiglie italiane, influendo negativamente su settori cruciali come la salute, l’istruzione e la qualità della vita. Inoltre, la crescente difficoltà a far fronte alle spese quotidiane ha alimentato il malcontento sociale, con un forte aumento dei segnali di insoddisfazione e proteste che stanno montando nei vari settori della società.
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Le difficoltà economiche delle famiglie si riflettono anche nel consumismo ridotto e nella stagnazione della domanda, con un impatto diretto sul mercato interno, che ha visto ridursi la spesa per beni e servizi. Questo ha avuto un effetto negativo sull’economia complessiva, che risulta sempre più dipendente da settori pubblici o da aiuti esterni, mentre l’economia reale stenta a riprendersi.
Le soluzioni proposte dalla Fondazione Di Vittorio
Nel suo rapporto, la Fondazione Di Vittorio ha avanzato alcune proposte per contrastare la tendenza negativa e rilanciare il potere d’acquisto dei lavoratori. Tra le principali soluzioni ci sono:
- Aumenti salariali legati alla produttività: La Fondazione propone di legare gli aumenti salariali alla produttività e alla crescita economica, in modo da favorire una distribuzione più equa dei benefici derivanti dall’espansione economica.
- Riforma fiscale: Un intervento sulla fiscalità per ridurre il carico sui redditi medio-bassi e favorire il potere d’acquisto delle famiglie, alleggerendo la pressione fiscale sulle fasce più vulnerabili.
- Miglioramento della contrattazione collettiva: Potenziare il sistema della contrattazione collettiva per includere anche le nuove forme di lavoro, in modo da garantire maggiori tutele e retribuzioni più giuste.
- Sostegno ai settori più vulnerabili: Incentivare politiche di welfare che supportino le categorie più deboli, garantendo un miglior access