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La Preside che dice la verità ai genitori: «La crisi dei giovani è colpa vostra, non dei social»

Le scuole, luoghi di educazione e crescita, sono da sempre punto di riferimento per la formazione dei giovani, ma anche terreno di scontro tra valori tradizionali e nuove sfide sociali. La figura del dirigente scolastico è spesso la più esposta, costretta a mediare tra le esigenze di un corpo docente sovraccarico e le aspettative, a volte eccessive, di famiglie che chiedono sempre di più per il futuro dei propri figli. In questo contesto, le parole di Tina Gesmundo, preside di un liceo di Bari, sono emerse come un coraggioso grido di allarme contro un fenomeno che sta mettendo a dura prova l’istituzione scolastica: la crisi dei giovani e la crescente difficoltà a confrontarsi con le sfide della vita.

Le sue dichiarazioni, forti e provocatorie, hanno suscitato dibattito e riflessioni, soprattutto per la sua capacità di dire la verità senza mezzi termini: «La crisi dei giovani è colpa vostra, non dei social». Con queste parole, Gesmundo ha puntato il dito contro le generazioni precedenti, accusandole di non aver fornito ai giovani gli strumenti necessari per affrontare le difficoltà del mondo moderno. Non è più il tempo di cercare facili capri espiatori, come i social network, che spesso vengono accusati di essere i principali responsabili dei disagi giovanili. La vera causa, secondo la preside, risiede in un vuoto educativo e in una mancanza di valori e di supporto reale da parte delle famiglie.

La crisi dei giovani: un fenomeno complesso

Le parole della preside non sono solo una denuncia dei problemi che affliggono i giovani, ma un’analisi profonda delle cause che li alimentano. La crisi dei giovani non può essere attribuita esclusivamente ai social media, nemmeno se questi ultimi sono ormai onnipresenti nelle vite quotidiane. Certo, le piattaforme digitali hanno introdotto nuove dinamiche sociali, creando spazi virtuali che possono risultare dannosi, soprattutto per i più giovani, che sono facilmente influenzabili. Ma ridurre la crisi dei giovani a una questione legata esclusivamente ai social è un errore che Gesmundo denuncia con fermezza.

Secondo la preside, la vera causa della crisi giovanile è da ricercare in un disallineamento tra le aspettative dei genitori e le reali capacità dei figli, in un mondo che ha smarrito il proprio senso di comunità e di appartenenza. I ragazzi di oggi sono spesso lasciati a se stessi, privi di punti di riferimento concreti, costretti a navigare tra modelli di vita che non riescono a comprendere pienamente. La scuola, che dovrebbe essere un luogo di supporto e di formazione, non sempre riesce a rispondere a queste necessità, e in molti casi si trova a dover fare i conti con famiglie che delegano tutto all’istituzione scolastica, senza prendersi carico dei propri figli in modo attivo e consapevole.

La responsabilità dei genitori

Quando Gesmundo parla di «colpa» delle generazioni precedenti, non si riferisce solo a un errore di educazione intesa come mancato insegnamento di valori fondamentali, ma a un vero e proprio vuoto educativo che i genitori stessi hanno contribuito a creare. In un mondo che ha smarrito la propria centralità, dove il consumismo e la competizione sono diventati il fulcro delle dinamiche sociali, la famiglia si è spesso trasformata da luogo di supporto a mero dispensatore di risorse materiali. Il tempo passato insieme, la comunicazione genuina e l’affetto sono stati sacrificati, e i figli sono diventati, troppo spesso, semplici spettatori di una vita frenetica in cui gli adulti sono presi dalle proprie preoccupazioni, senza rendersi conto che i loro figli hanno bisogno di altro.

Un genitore, oggi, sembra più preoccupato della posizione sociale, dei successi scolastici e delle opportunità future, che non del benessere emotivo e psicologico del figlio. La preside Gesmundo sottolinea che, nel tentativo di garantire un futuro brillante per i propri figli, molti genitori dimenticano che la felicità e il benessere interiore non possono essere raggiunti solo attraverso il successo materiale o le conquiste accademiche. I giovani sono spesso bombardati da modelli di vita che promuovono il perfezionismo, l’apparenza e la competitività, senza offrire loro gli strumenti per affrontare il fallimento, il dolore e la frustrazione.

Il problema non è che i genitori vogliano il meglio per i propri figli, ma che troppo spesso non sono in grado di capire che il miglioramento personale e il benessere psicologico vanno ben oltre il successo materiale e il raggiungimento di obiettivi scolastici. Invece di stimolare una crescita emotiva e sociale, molti genitori oggi sono concentrati sul raggiungimento di un ideale di successo che non lascia spazio alla serenità e alla riflessione personale. E quando i figli non rispondono alle aspettative, il malessere cresce, e la scuola viene vista come il capro espiatorio, il luogo dove le cose non sono andate come dovevano.

I social come riflesso, non causa

Molti, quando parlano della crisi giovanile, tendono a incolpare i social media, vedendoli come una causa diretta di depressione, ansia e solitudine. Le piattaforme come Instagram, TikTok e Facebook sono accusate di alimentare il senso di inadeguatezza, la competizione e la ricerca costante di approvazione da parte degli altri. Tuttavia, Gesmundo avverte che ridurre il problema a una questione di “inquinamento digitale” è fuorviante. I social media sono solo uno specchio della società, una riflessione amplificata dei valori e delle problematiche già esistenti. Se i giovani sono influenzabili e vulnerabili, è perché la società in cui vivono non è in grado di fornire loro gli strumenti per affrontare le sfide della vita con equilibrio e consapevolezza.

Il vero problema, quindi, non sta nei social media, ma nella carenza di modelli educativi sani, nell’incapacità di dialogare sinceramente con i propri figli, nell’assenza di una vera educazione emotiva. I social, piuttosto, sono un canale che amplifica una crisi più profonda, quella di un mondo che ha smarrito la capacità di educare le nuove generazioni alla gestione dei propri sentimenti, delle proprie emozioni, della propria identità. Le aspettative di successo e perfezione sono proiettate sui ragazzi, e il risultato è un disorientamento che li porta a cercare conferme nelle immagini idealizzate che circolano online.

Un cambiamento necessario

Le parole di Tina Gesmundo non sono solo una denuncia, ma anche un invito al cambiamento. È necessario che le famiglie tornino a essere il primo e più importante luogo di educazione, che i genitori riprendano il loro ruolo di guide e supporto emotivo, al di là delle aspettative sociali e delle pressioni esterne. La scuola, pur con i suoi limiti, deve diventare un luogo di ascolto e di supporto, dove gli studenti possano esprimere le proprie difficoltà senza temere il giudizio.

La crisi dei giovani è un fenomeno complesso, che non può essere risolto con soluzioni facili o con il ricorso a capri espiatori. È necessario un impegno collettivo da parte della scuola, delle famiglie e della società, per costruire un ambiente che valorizzi il benessere psicologico ed emotivo tanto quanto il successo accademico. In questo cambiamento, i social possono giocare un ruolo importante, ma solo se vengono utilizzati in modo consapevole e se accompagnati da un’educazione che insegni i veri valori della vita, come l’autenticità, il rispetto e la solidarietà.

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